Una delle principali donazioni che Mons. Simoncelli volle fare alla sua famiglia e a tutta la cittadina di Boville fu la tutt’ora chiamata “Cappella Simoncelli” sita all’interno della chiesa di San Pietro Ispano, lo ricorda la lapide unita all’antica croce di porfido posta nella chiesa proprio accanto alla suddetta cappella.
Questa cappella, infatti, già di juspatronato della famiglia de Cervonis, passò al nostro monsignore. Approfittando dei lavori di ricostruzione della chiesa, voluti da Silvio Filonardi, mons. Simoncelli fece ricostruire per intero anche la sua cappella dotandola di beni artistici di inestimabile valore. Infatti in quegli anni papa Paolo V (1605-1621) mise mano alla demolizione di quella parte restante della basilica costantiniana di San Pietro in Vaticano per portare avanti il grandioso progetto della nuova e attuale basilica. Man mano che si procedeva alla demolizione, gli architetti accumularono una grossa quantità di reperti artistici che formavano altari, monumenti e mausolei. Molti di questi elementi vennero donati dal papa ai principali personaggi dell’epoca, mentre altri vennero conservati ed in seguito riutilizzati. Il nostro Simoncelli, essendo il cameriere segreto del papa, addetto alla conservazione delle sue vesti, e quindi familiare dello stesso pontefice, riuscì ad ottenere dalla magnanimità di papa Borghese diversi elementi artistici che con una certa eleganza fece incastonare con una certa eleganza nella sua cappella in Bauco. Tra questi, il più conosciuto è senza dubbio l’angelo di Giotto, un frammento musivo estrapolato dal famoso mosaico della Navicella disegnato da Giotto per l’atrio della vecchia basilica Vaticana. In questi ultimi anni il reperto giottesco è diventato il simbolo del paese. La stessa prestigiosa immagine la ritroviamo del resto, anche nei repertori turistici locali e nazionali oltre che nei testi scientifici e cataloghi dello stesso Giotto o Ambrogiotto di Bondone (1267-1337). Non sempre, però, accanto all’immagine troviamo dei dati storici che ricordano il motivo della sua presenza a Boville e quindi la garanzia dell’autenticità. Una breve ma intensa descrizione del mosaico la troviamo anche nell’Alonzi, autore locale: “…Entro una tunica azzurra a iridi bianche e oro, drappeggiato da un manto cenerino che gli cala dalle spalle con disinvolta eleganza, l’Angelo ha il capo circondato di un nimbo dai riflessi d’aurora. I capelli, abbondanti, sono a ciocche variocolori, a tessere rosso smeraldo arancione, morbidi ed aderenti come stretti da un invisibile nastro. Le ali, sfumanti al verde, il volto roseo e pallido in fusione dolcissima, l’occhio buono, innocente; tutto in lui spira interiorità viva, tutto è luce. Luce e colori…”.
Tuttavia sembra inevitabile associare al genio pittorico di Giotto l’abilità di Pietro Cavallini e della sua scuola, almeno per la realizzazione tecnica del mosaico. Del resto è impressionante la somiglianza del nostro angelo con quello del Cavallini (nel particolare della testa) nel mosaico dell’Annunciazione (anno 1291) posto nella basilica di Santa Maria in Trastevere. Come ancora è incredibile la somiglianza dell’angelo baucano con altri esemplari precedenti del Cimabue affrescati per la basilica di Assisi dove il maestro realizza una serie di angeli a mezzo busto “entro clipei”. Giotto avrà di certo preparato il suo angelo su cartone e lasciato ad altri la realizzazione musiva, della quale il nostro frammento è quello meglio conservato di tutta l’opera della Navicella. Il gemello del nostro, conservato nelle grotte Vaticane, infatti, è il risultato di una serie di restauri conservativi che ne hanno alterato l’originalità, mentre l’angelo di Boville non ha subito sostanziali restauri, se non un intervento di pulitura, sul posto intorno al 1911. Lo testimoniano due scatti fotografici: quello del Pazzini, dove il mosaico appare quasi velato, e quello successivo del Muñoz, molto più nitido.
Dal 1612 il mosaico non ha lasciato mai la sua sede, se non nel 1937 quando venne inviato a Firenze per una mostra (27 aprile – 30 novembre 1937), e se non fosse stato per le continue istanze, lettere, telefonate a politici, pratiche giudiziarie…oggi non sarebbe più al suo posto. Il mosaico, infatti, tornò a Boville solo 10 anni dopo, mentre una copia dello stesso destinata a Boville al posto dell’originale, rimase a Palazzo Venezia, sede della Soprintendenza. Questo triste episodio, ancora vivo in paese è un ulteriore attestazione di autenticità e di valore dell’opera ormai baucana da 400 anni.